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Inserita in Economia il 25/10/2018 da Direttore

Il rapporto debito-PIL nel Paese del Sol Levante e in Italia

Il
I livelli astronomici raggiunti dal debito pubblico del Giappone, la nazione più indebitata del mondo, superano un quadrilione di yen, pari a circa 8mila miliardi di euro (quattro volte l’ammontare di debito pubblico dell’Italia) pari al 253% del Prodotto interno lordo giapponese.
Eppure l’economia giapponese non ha l’ ossessione dello spread e non ci sono rischi di default.
Nonostante il debito pubblico giapponese sia infatti il più alto a livello mondiale, il Giappone non ha subito le stesse tensioni speculative sui mercati finanziari vissute da altre parti, come in Italia e in Grecia. Infatti da quasi due decenni il Giappone mantiene la famosa “AAA”, il miglior giudizio possibile emesso dalle agenzie di rating. Inoltre, i tassi di interesse sui titoli di stato giapponesi sono tra i più bassi del mondo. Un titolo giapponese a 10 anni rende lo 0,035%, meno del Bund tedesco (0,386%) considerato il “safe haven” per eccellenza.
Ci chiediamo allora come mai il Giappone è stato in grado di evitare le crisi del debito sovrano, cosa avvenuta in Italia e in Grecia, nonostante il suo rapporto debito pubblico/PIL sia molto più alto. Il debito pubblico italiano ha caratteristiche diverse da quello giapponese?
Premesso che il debito pubblico di un Paese rappresenta la somma dei debiti contratti da uno Stato per far fronte ai propri fabbisogni di spesa e che quando le spese di uno Stato superano le entrate si realizza un disavanzo negativo di bilancio che incrementa la massa di debito pubblico.
D’altra parte, per valutare i rischi associati a un elevato debito governativo, occorre tenere conto della composizione dei creditori di un Paese. Un aspetto rilevante infatti è capire se i creditori sono investitori residenti o stranieri.
Quando il debito è detenuto prevalentemente da investitori stranieri il rischio di subire tensioni sul mercato dei titoli è più alto.Infatti questi ultimi sono i primi a disinvestire se la credibilità di un Paese, a torto o a ragione, peggiora.
Il 91% del debito sovrano giapponese è detenuto da soggetti residenti in Giappone: la banca centrale (43%), le banche (19%), le assicurazioni e i Fondi pensione (20%), il Fondo pensionistico nazionale (8%) e i risparmiatori (1%). Attualmente soltanto il 9% del debito pubblico giapponese è nelle mani di investitori stranieri. Inoltre, se una consistente quota del debito sovrano è nelle mani della banca centrale dello stesso Paese è come se quella parte non esistesse ed, inoltre, la banca centrale restituisce nelle casse dello Stato gli interessi pagati dal governo centrale.
Per quel che riguarda il debito sovrano italiano, invece, è detenuto per il 35% da investitori stranieri come gran parte del debito pubblico dei paesi periferici dell’Europa..Questo rende i tassi di interesse particolarmente suscettibili al giudizio dei mercati.
Un Paese come Italia si trova quindi costretto a finanziare il proprio debito pubblico a tassi di interesse elevati.
La ragione per cui gran parte del debito giapponese è detenuta da soggetti residenti è da attribuirsi agli elevati tassi di risparmio delle famiglie e delle imprese nipponiche. In aggiunta a tutto questo, i giapponesi hanno sempre mostrato una forte avversione al rischio ed un elevato grado di “home bias”, cioè una predisposizione all’acquisto dei titoli domestici.
Con un elevato risparmio interno e con un canale preferenziale all’acquisto dei titoli, il Giappone si può permettere di non ricorrere agli investitori esteri, mantenendo molto bassi i tassi di interesse sui titoli di stato.
Se analizziamo la società italiana riscontriamo la stessa cultura dei giapponesi nell’elevato risparmio delle famiglie e delle imprese accompagnata da analoga avversione al rischio. Manca agli italiani “ l’elevato grado di home bias” determinata da due fattori : la sfiducia nella classe politica e la diffidenza nell’Eurozona. Finchè queste due cause non saranno rimosse l’Italia non potrà uscire dalla tagliola che le impediscono di decollare.
Francesco Gallo

 

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