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Inserita in Cultura il 21/02/2017 da Direttore

Amare il mare e viverne il battito in una simbiosi sinergica - Una intervista a Antonino Butera da dieci anni marittimo e primo ufficiale di macchina

Amare
Amare il mare e viverne il battito in una simbiosi sinergica.
Che splendida frase … parecchio ciclica.
Ciò nondimeno fino a che punto può amarsi il mare?
Udirlo, ascoltarne la voce, i fragori, i profumi …… la saporosità; amarlo nell’universalità delle sue forme.
In che misura si ama stare sul mare durante una tempesta?
Aver coscienza dello strepito della forza impetuosa di essa, il vento freddo che ti indolenzisce il viso.
Poi, ad un tratto, la calma… Il lieve sciacquio della risacca che plasma la roccia, scava, modella la costa a suo gradimento.
I giorni di bonaccia … Difficoltoso sentirne la voce. Più semplice aver coscienza dei suoni che circondano questo azzurro sterminato, i gabbiani col loro vocalizzo che paiono inseguono la barca e le navi a pieni giri … Le fragranze … L’odore delle alghe abbandonate, sulla battigia, dalla bassa marea.
E, a me che amo il mare, riappaiono in tutto il loro splendore i tanti ricordi che pensavo, sbagliando, che facessero parte del passato.
La banchina, vedere il sorgere del sole … Sei consapevole del fatto che ti attendono delle dure ore di attività, ma amare il mare è anche viverlo. Ed il tutto smorza la fatica.
La sera, sulla nave che solca il mare, la luna che striscia d’argento ogni cosa, ti trovi sempre lì, il punto più prossimo al mare, affaticato … si .. ma rasserenato…
I dibattersi dei pesci, taluni a pelo d’acqua, frantumano il silenzio rigoroso del mare.
I colori tenui dei tramonti sul mare, talvolta, a seconda del luogo che attraversi, mescolati all’odore del deserto o degli ulivi, delle viti cariche di nettare o dei capperi, o, purtroppo delle ciminiere che costeggiano le spiagge delle più belle coste del nostro continente.
Una lieve agitazione delle acque si spezza sulle fiancate della nave, il cinguettio degli uccelli ed eccoci nuovamente al porto.
Che pace questo canto del mare che ti rimane dentro e ti accompagna quando lasciata la nave torni a casa tra le braccia delle persone che ami.
Che poesia il mare e che difficoltoso viverlo nella fatica d’un lavoro quotidiano che ti corrode e ti priva degli affetti, ma che ti sta dentro con prepotenza e piacevolezza.
Abbiamo voluto sentire una testimonianza sinceramente vera di un marittimo che da anni vive il mare nella sua quotidiana professione lontano, talvolta, per mesi, dalla moglie e dalla figlia.
Con noi, a distanza di migliaia di chilometri, durante le sue pause quotidiane, quando suona l’ora per il cambio serale e poche ore lo separano dal nuovo turno notturno, il giovane alcamese Antonino Butera, 29 anni, operatore del mare, ha fatto il suo primo imbarco il 27 gennaio del 2007 come allievo di macchina su navi petroliere.
Antonino Butera, dieci anni in nave, il sorriso sempre sulle labbra, è in possesso della prestigiosissima patente di Primo Ufficiale di macchina su navi con apparato motore superiore a 3000 kw. Una rarità considerata la sua giovane età.
È fidanzato ancora per poco (si sposerà a breve) e ha una figlia di 12 anni.
Lo abbiamo voluto conoscere vivendo con lui, al telefono, una lunga traversata in mare.
Amore per il mare? O un lavoro certo?
«Diciamo che questo lavoro non è nato per la passione per il mare ma per il mio grande e vero amore per la meccanica! Visto che fin da piccolo nei periodi estivi mentre tutti i ragazzini erano per strada a giocare, io preferivo andare in officina ad imparare e a inseguire, così, il mio sogno: quello di diventare meccanico. Però non un semplice meccanico di moto o di macchina ma di qualcosa di molto più grande come i motori delle navi. E fu così. Una volta diplomato iniziai con la ricerca degli armatori navali. E, fortunatamente, dopo un´attesa di 6 mesi fui chiamato, da una compagnia italiana con navi, per il trasporto petrolifero. Da qui inizia una lunga e tanto attesa carriera. Mi imbarcai, così, sulla mia prima nave. La Moto Nave Bauci nel porto di Fiumicino».
Che cosa provi quando lasci il porto?
«Il primo impatto e stato abbastanza forte. Non ero abituato. I realtà abituato è una parola grossa. Non ci si abitua mai. Anzi con il passare degli anni è sempre peggio. Diventa difficoltoso e pesante lo stare fuori casa e, specialmente, senza vedere la famiglia per parecchio tempo. Però la passione fa superare anche questo! Il macchinista è un lavoro un po’ particolare. Infatti, anche se sono in mare 24 ore su 24 ci sono giorni che neanche lo vedo. Come si dice qua a bordo siamo a basso. Direi scherzando con la nostra meravigliosa lingua siciliana “Alu puzzu”. Quindi non trovo differenza se siamo in porto o in mare. Anzi l´unica differenza sta nel fatto che finalmente il telefono ricomincia a funzionare. E se c´è possibilità si scende a terra».
Cosa manca in queste lunghe traversate e quanto possono durare?
«La cosa che manca principalmente, durante le lunghe traversate, è la mancanza di comunicazione vocale con i familiari, gli amici e, in generale, con tutto il mondo esterno. Le traversate, in verità, variano a seconda del tipo di noleggiatore della nave. Se sei fortunato e navighi sul Mediterraneo, il problema non sussiste perché il viaggio dura al massimo 2 o 3 giorni. Ma se, invece, si fa navigazione oceanica le traversate possono durare da i 10 ai 30 giorni e in questo caso è un po’ più dura! La comunicazione con il mondo esterno e ridotta e il morale scende un po’».
Quanto può essere importante nella vita di un ragazzo la possibilità di confrontarsi con culture e lingue diverse? Con modi di essere o fare diversi dai tuoi...
«Confrontarsi con culture e lingue diverse è stato una delle esperienze più belle che un ragazzo può fare. Questa esperienza l´ho affrontata nel mio secondo imbarco. Mi sono ritrovato ad essere l´unico italiano in sala macchine. Il restante dell´equipaggio era indiano, Al primo impatto è stata dura sia perché le culture sono diverse e sia per la comunicazione linguistica. Ma a livello di crescita umana e culturale è servito tantissimo. Ed in special modo per la lingua, appunto. Convivendo 24 ore su 24 insieme, ho avuto la fortuna di imparare la lingua inglese, sia nella forma scritta che parlata».
Cosa avverti quando girandoti intorno vedi il mare, solo il mare ed è col suo rumore che ti addormenti e ti svegli?
«A volte quando siamo in navigazione mi metto a poppa, in piena notte, a guardare il mare con una tranquillità assoluta e guardandolo, a dirti la verità, mi viene un angoscia assurda perché il pensiero corre a casa dalla piccola Noli e a Vale».
Raccontami una giornata tipo in nave.
«Il mio turno attuale come Primo Ufficiale di Macchine prevede una sveglia alle 3:30 antimeridiane. Il tutto per arrivare in sala macchina alle 3 45, solo dopo 15 minuti, in moda da rilevare il 2 Ufficiale di macchina e fare il passaggio di consegne delle sue 4 ore di guardia.
Dalle 4.00 inizia il mio turno di guardia. Solitamente effettuo un accurato giro di ispezione di tutti i macchinari verificandone la temperatura e la pressione e stando attento che stiano lavorando perfettamente. Provvedo a registrare il tutto negli appositi registri. Il turno finisce alle 8.00 ora in cui scende il restante personale giornaliero. S’iniziano le manutenzioni giornaliere. Il tutto fino alle 11.45, ora in cui si sale per mangiare. Poi si ritorna giù alle 16.00 per il nuovo turno di guardia e così via...».
Ti è mai capitato di volere scappare, prendere il primo aereo e raggiungere casa?
«Sì ogni volta che mi imbarco! I primi 15 giorni sono tragici. Questo è un lavoro alla quale una persona non si abitua mai. Ogni imbarco è sempre la prima volta».
Se potessi ritornare indietro... Lo rifaresti?
«Sì lo rifarei!».
Hai avuto modo di conoscere di te aspetti che nel fragore e nella velocità della vita a terra non avevi notato?
«E si! Nei momenti di solitudine mi rendo conto, realmente, l´amore che provo per le persone mie care. Una fragilità che solo con la lontananza sono riuscito a conoscere e a provare».

 

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