Inserita in Sport il 14/10/2014
da Gabriele Li Mandri
L’Italia operaia e la Nazionale dei gregari
Quando il buon Tavecchio promosse mister della nazionale il signor Antonio Conte, esattamente due mesi fa, lo fece con l’ardore e con la spietatezza di Robespierre: tagliando teste, a parole, e promettendo la tanto agognata rivoluzione del calcio italiano. A due mesi da quella scontata designazione, con l’esaurirsi del giochetto delle novità e della famosa carica agonistica di un allenatore “all’altezza di portare il bastone del comando che sorregge la bandiera tricolore e che ci fa sentire tutti uniti come Paese” (parole dense di una retorica paragonabile ai tempi dell’Italia fascista di Vittorio Pozzo) la situazione non è cambiata di una virgola: noi ci copriamo il volto per la vergogna di un presidente della FIGC che va in giro a dare dei mangia-banane agli africani e per questo appena squalificato dalla UEFA, che impedisce il ripescaggio in B alle squadre con un passato di illecito sportivo, ma che consegna le chiavi della Nazionale ad un allenatore che, solo l’altro ieri, aveva appena finito di scontare 6 mesi di squalifica per gli stessi motivi, ironia della sorte, decisi dalle stesse teste d’uovo che oggi gli pagano il (lauto) ingaggio. Ma se la situazione politica del nostro calcio, come sempre, naviga in acqua a dir poco fangose, direte voi: almeno sul campo la Nazionale ci regala vittorie.
Sei punti in 2 partite sono in effetti, da un punto di vista statistico, abbastanza per ritenerci soddisfatti e per augurarci di non fallire le qualificazioni a Euro 2016. Per chi ha avuto il “piacere” di assistere alle due partite contro Azerbaijan e Malta, invece, la situazione appare molto meno rassicurante: l’Italia, come sempre inzuppata di calciatori dai proclami facili, vince contro i soliti, modesti avversari e lo fa soffrendo in modi impensabili, considerato che difficilmente avremo mai il piacere e l’onore di vedere i 22 affrontati in questi due match del girone giocare in Italia, nemmeno in Lega Pro. Onesti, ma mediocri semi-professionisti del pallone che fanno sudare le proverbiali sette camicie a gente che prende 4-5 milioni di stipendio annui? È possibile, signori, perch´ noi siamo la tricolorata Italia, quella “squadra operaia” composta dagli operai più costosi al mondo.
Già contro gli azeri s’era capito che, se servivano due gol di Chiellini per portare a casa il bottino pieno (quello decisivo, tra l’altro, a tempo quasi scaduto a rimediare il suo goffo autogol del pari), evidentemente c’era qualcosa che non quadrava. Tanto era bastato per far volare paroloni ai protagonisti di quel grandioso successo: Pirlo prometteva già la Coppa dell’Europeo, mentre Bonucci e Chiellini si gongolavano definendoci una “Nazionale ignorante, gregaria”. Cosa ci sia di esaltante in tutto questo, è ancora da capire: voi avete mai sentito un operaio vantarsi di un muro ben riuscito? Sono anni che siamo una nazionale gregaria, sia a livello di gioco che di giocatori in campo: non serviva certo Conte per scoprire che sotto al tappeto abbiamo i topi morti. Serviva uno come Conte, invece, per trasformarli in pepite d’oro. Alla Juve ha già dimostrato di poter fare la differenza gettando all’esterno fumo negli occhi mentre dietro le quinte carica a mille i suoi, facendoli rendere al 110%, compattandoli contro il “rumore dei nemici”. È una tattica che in Italia ha raccolto i suoi frutti ma che in Europa è andata a cozzare contro una dura realtà: la classe, quella vera, mette a nudo la farsa.
Il match contro Malta ha chiarito che noi italiani, intesi come Nazionale, siamo gli stessi dei tempi di Prandelli: una squadra con poco talento, senza il minimo barlume di un’idea di gioco, divisa da intolleranze interne che, a scadenza semestrale, fanno saltare qualche testa giusto perch´ qualcuno che si prenda la colpa (volente o nolente) serve da viatico per una nazione di ciechi. La campagna mediatica pro-Zaza di settembre ne è un esempio lampante: pur di sotterrare Balotelli, l’unico giocatore con un minimo di classe seppur minato da seri problemi comportamentali, si vanno a incensare come nuovi Maradona giocatori che non possono reggere a lungo l’investitura. Prima di Zaza era già capitato con Immobile ai Mondiali, ancora a secco in azzurro se non si considera il gol in amichevole contro l’Olanda, e ultimamente sta coinvolgendo anche il povero Pellè, armadio a quattro ante prossimo ai 30 anni cui è bastato il gol di stasera per dare probabilmente il via allo sbrodolamento giornalistico collettivo. Sempre che qualcuno non si accorga che a tutto c’è un limite.
L’Italia calcistica è questa, lo specchio di un paese decadente che si aggrappa agli inganni del calcio pur di credere che in fondo vale ancora qualcosa: dirigenti e calciatori che giocano a fare gli dei in un mondo in cui persino la Croazia ha rifilato 6 pere all’Azerbaijan. Se siamo una nazionale di operai, come in fondo si augurano tutti i protagonisti, forse sarebbe il caso di rimboccarsi le maniche e di fare quello per cui gli operai, quelli veri, son pagati: mazzolare duro e metterci l’anima, senza aprire bocca.
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