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Inserita in Economia il 20/12/2018 da Direttore

Ancora il problema dei derivati

Ancora
Nel settembre 2008 con la bancarotta della Lehman Brothers si ebbe la seconda grande crisi del sistema finanziario statunitense con conseguente inasprimento della recessione che aveva dato evidenti segnali già nel 2007.
Oggi, restate immutate le cause strutturali che hanno portato alla deflagrazione della crisi rischiano di sprofondare il mondo in una nuova recessione senza che gli effetti economici, politici e sociali della precedente si siano completamente riassorbiti.
Siamo, dunque, al punto di partenza?
Ancora una volta tornano sul banco degli immutati i derivati che rappresentano il sistema di intermediazione creditizia composto da entità e attività che operano a margine del tradizionale sistema bancario.
La quantità di derivati oggi in circolazione ammonterebbe, secondo le stime, all’inimmaginabile cifra di 2,2 milioni di miliardi di euro: 33 volte il valore del Pil mondiale. Sono “titoli” che non provvisti di un proprio valore intrinseco ma tale valore dipende da altri prodotti finanziari esistenti come beni reali che determinano con le loro fluttuazioni di prezzo.
In pratica i derivati hanno per oggetto una ‘pura scommessa’ sull’andamento futuro di un particolare indice di prezzo, ciò con il massimo spettro di scelte quali: quotazioni di titoli, tassi di interesse, tassi di cambio tra valute diverse, prezzi di merce relativi a materie prime; ovvero tutto ciò che implica una variazione di prezzo e/o di valore. Un’ultima caratteristica che facilita la speculazione è che il derivato è di fatto uno strumento finanziario acquistabile su tutti i mercati mondiali da un numero definito di possibili scommettitori che non hanno alcun rapporto diretto con il titolo e/o bene sottostante a tale scommessa.
Il processo di gestione di questi strumenti è estremamente opaco e rischioso
La lezione del passato non è stata appresa e ora, negli Stati Uniti, le nuove frontiere della speculazione sono rappresentate dai prestiti agli studenti per le tasse universitarie e dai crediti forniti per l’acquisto di automobili. E sono proprio le grandi banche U.S.A. a essere tornate prepotentemente in gioco con miliardi e miliardi di dollari di prestiti a quelle finanziarie che gestiscono il mercato del credito al consumo, di fatto esponendosi di nuovo al forte rischio di bolla.
In Europa abbiamo il caso di Deutsche Bank e dell’enorme massa di derivati in cui essa è immersa, una quantità pari a 14 volte il Pil tedesco e non rappresenta affatto un’eccezione. 
Da un’indagine datata 18/10/2018 si è evidenziato che nei soli 28 Paesi dell’Ue il valore delle transazioni sui derivati è pari a 660 trilioni di euro, ovvero i derivati che vengono trattati sui mercati europei rappresentano poco meno di un quarto dei derivati di tutto il mondo. 
Nel contesto statunitense il comportamento sconsiderato degli istituti finanziari ha posto nuovamente i derivati al centro della scena. In Europa, invece, la vigilanza è sempre risultata attenta fino all’eccesso sul campo dei crediti deteriorati, che ha penalizzato enormemente istituti italiani come Monte dei Paschi, e estremamente lassista nel campo dei derivati che riempiono la pancia delle grandi banche francesi e tedesche. Dobbiamo tenere da conto che in caso di hard Brexit tra i vari problemi che ne deriverebbero si segnala anche il caso derivati. Molti dei paesi UE si stanno preparando per colmare il vuoto normativo che si creerebbe sui contratti derivati in caso di divorzio duro tra Gran Bretagna e Unione Europea. Germania, Francia e Olanda sono sulla buona strada. E l’Italia? 
Il rischio è che senza una normativa ad hoc, alcuni contratti derivati non standardizzati e non regolati attraverso Controparti centrali potrebbero cadere in Italia in una sorta di limbo. Le tipologie di derivati attualmente esistenti sono due: una standardizzata e regolata attraverso meccanismi garantiscono il buon esito dei contratti e una invece non standardizzata e non regolata attraverso Controparti centrali, in sostanza derivati fatti “su misura” dalle banche per le imprese per soddisfare alcune loro esigenze specifiche. In caso di hard Brexit il problema è per entrambe le tipologie ma sulla seconda occorre una legislazione nazionale per disciplinare un eventuale periodo transitorio se il divorzio fosse senza accordo.
Il problema nasce dal fatto che se il divorzio tra Londra e Bruxelles avvenisse senza accordo, le banche inglesi perderebbero il passaporto europeo e dunque non potrebbero più offrire servizi finanziari nell’Unione Europea. In merito ai derivati il problema è che le banche inglesi non sarebbero più abilitate ad eseguire determinate operazioni connesse a contratti derivati stipulati con clienti comunitari. Da qui la necessità di interventi nazionali ad hoc. 


 

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