Inserita in Sport il 03/07/2016
da Gabriele Li Mandri
GERMANIA-ITALIA 7-6 DCR: FINALMENTE LA REALTA´
Il sogno di questo Europeo, in quanto tale, prima o poi si sarebbe dovuto spegnere. È accaduto ieri sera contro la nemica di sempre: quella Germania che evoca solo grandi ricordi. Ricordi eroici che Conte ha provato a ridestare, senza successo. Ma la colpa di una sconfitta figlia di 120 minuti di tensione agonistica, e di una lotteria ai rigori impietosa dopo l’1-1 firmato da Ozil e da Bonucci su rigore, non è né di Conte, né degli azzurri. È di Madre Natura.
Se ancora oggi, a 10 anni di distanza dalla vittoria al Mondiale, si citano giocatori come Del Piero, Pirlo e Maldini, e se si tira in causa Totti solo perché Pellè ha avuto la poco brillante idea di provocare Neuer facendo il gesto del cucchiaio con le mani, allora il problema è nel DNA del pallone italiano. Che dagli anni 2000 ha interrotto brutalmente il suo feeling con il talento.
Una caratteristica che Conte, da maestro della psicologia, ha provato a trasformare in una fonte di forza. Come? Costruendo un’Italia di Giaccherini, di Pellè, di Sturaro, di De Sciglio: calciatori prima sottovalutati, poi sovrastimati e, infine, giustamente ridimensionati. Piccole storie strappalacrime di terzini che vanno in cura dallo psichiatra, di attaccanti che parlano meglio l´olandese dell´italiano, di centrocampisti che vedono in Gattuso il loro Messi. Un piccolo esercito di gregari del pallone e di casi umani, coperti da due o tre vecchietti che da anni sorreggono quel che resta della Nazionale, e da quel famoso 12esimo uomo chiamato motivazione.
Un mix che ha spaccato in due la Spagna, sorprendendola ai fianchi con il suo fiato e chilometri su chilometri macinati senza pietà, e che si è sgonfiata come un palloncino alla vera prova del 9. Quando, purtroppo, le scorie della pressione psicologica e dell’acido lattico nelle gambe non hanno potuto contare su quell’unico fattore che faceva vincere 10 anni fa, e che continua a fare vincere oggi gli altri: il talento.
D’altronde solo Conte avrebbe potuto gestire una situazione del genere, già ampiamente vissuta dalla Juve reduce dalla Serie B e da una trafila infinita di settimi posti: prendere gente incazzata, per un motivo o per un altro, mettergli il mondo contro in conferenza stampa e pungolarli fino a farli esplodere. E, proprio come fatto alla Juve, abbandonare la piazza da eroe, una volta resosi conto che più di quello non si poteva spremere, lasciando la patata bollente a qualcun altro.
Conte domani sarà a libro paga di Abramovich e potrà puntare su giocatori e sistemi di gioco lontani anni luce dagli Sturaro, dai Pellè, dai De Sciglio, dai Giaccherini. Non gli verrà mai più in mente di tenere al fresco gente come Insigne ed El Shaarawy, oppure di non convocare il Bonaventura di turno. Semplicemente perché non correrà il rischio di intaccare un ambiente fatto di calciatori delusi, di reietti del pallone che, messi insieme, sono capaci di creare una sinergia tanto affascinante quanto breve.
E all’Italia? All’Italia non resterà altro da fare che dimenticare in fretta anche questo giro, tanto ci siamo abituati. Leccarci le ferite è diventato il nostro forte: lo sa bene Buffon, uscito dal campo in lacrime. Buffon, non Conte. Buffon, quello che ha seguito la Juve in Serie B e che ha salvato Conte e la Juve in più di un’occasione in questi anni. È a gente come lui che devono andare gli unici grazie di questo Europeo: ultimi baluardi di un’Italia calcistica che, oramai da anni, non esiste più se non nelle parole di chi si sbava la camicia parlando di un “Giaccherinho” qui e di un “De Sciglio erede di Maldini” lì. E che puntualmente sparisce nell’ombra, sfruttando come tanti altri il sudore di questi piccoli e sinceri milionari della mediocrità.
Gabriele Li Mandri
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