Inserita in Cultura il 15/12/2020
da Cinzia Testa
La spada di Palermo: tra storia e leggenda
Ancora ai nostri giorni, sul battente destro del portone del Palazzo Arcivescovile di Palermo, sito accanto alla Cattedrale, si può notare l’elsa di una spada lì inchiodata. Questa singolare giustapposizione ha lasciato spazio a leggende e supposizioni nel susseguirsi dei secoli, la più famosa delle quali attribuisce la proprietà della spada a Matteo Bonello, signore di Caccamo: secondo i più, egli se ne servì per uccidere il primo ministro del re Guglielmo I, Maione da Bari. Questa ipotesi lascia però aperto l’interrogativo sul perché i resti di questa spada siano finiti proprio inchiodati alla porta del palazzo Arcivescovile e perché Bonello volesse morto il primo ministro del Re. Andiamo un po´ a ritroso per provare a capirne le ragioni:
Bonello fu testimone del regno del normanno Guglielmo I, discusso figlio del re Ruggero II - e di Elvira di Castiglia - che, irrimediabilmente attratto dagli agi, regnava con lo sfarzo e il distacco di un sovrano orientale. Così, il governo effettivo andò nelle mani del pugliese Maione, che dovette fronteggiare vari tentativi di tradimento da parte del clero.
Il principale fu la congiura ordita nel 1160 dall’arcivescovo Ugo, volta a detronizzare Guglielmo I e impossessarsi del potere. Per difendere il Re, il primo ministro ordì l´avvelenamento del prelato tramite arsenico. Egli riuscì a far ingerire l´arsenico all’arcivescovo, ma la dose di veleno non fu letale, rovinando così i piani di Maione: l’arcivescovo, avendo compreso l´accaduto e fiutato il pericolo, chiamò in suo aiuto Matteo Bonello, suo fedele alleato, nonché capo militare della congiura. Nella notte di San Martino del 1160, Bonello trafisse Maione con la sua spada, realizzando la vendetta dell’arcivescovo. Questi, soddisfatto, fece inchiodare la spada sulla porta del seminario a mo´ di ammonimento al potere politico. Bonello però non la passò liscia: Guglielmo, resosi conto della minaccia corsa, lo fece processare e lo sottopose a punizioni corporali indicibili. La sua lama fu spezzata, ma l’elsa rimase inchiodata dove tuttora si trova e nessuno da allora la toccò.
Storia o leggenda?
Per quanto il racconto sia affascinante e perfino convincente, ci sono dei limiti storici che ne ledono la credibilità: la forma “a vela” dell’elsa, tipica del XVI secolo rende impossibile attribuire l’arma a Bonello, vissuto secoli prima; quindi con ogni probabilità ci troviamo dinnanzi a un racconto ben romanzato. Sorge allora spontaneo chiedersi da dove venga questa spada e quale sia il senso di questa originale collocazione. Con molta probabilità la storia risale al 1400, all’epoca in cui il re Martino I concesse ai baroni lo ius gladii et necis, ovvero il diritto di spada e di morte nei confronti dei loro vassalli.
Questa autorità dei feudatari veniva simboleggiata da alte forche che si trovavano all’ingresso delle terre dei baroni. All’interno delle mura cittadine, non era possibile erigere forche, quindi probabilmente, per simboleggiare il potere vescovile, si scelse un elemento meno ingombrante ma simbolico: un’elsa che rimase lì a testimoniare una leggenda o un passato storico fitto di mistero, lì sul portone del Palazzo Arcivescovile di Palermo, a fianco della Cattedrale lungo una strada denominata: Via Matteo Bonello.
Cinzia Testa
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