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Inserita in Cronaca il 23/08/2018 da Direttore

Rohingya: Save the Children, ad un anno dall’inizio della crisi un allarmante numero di bambini rimasto orfano a causa delle brutali violenze in Myanmar

Rohingya:
Ancora nessuna condanna o indagine imparziale e indipendente su questi crimini


Un bambino Rohingya su due fuggito in Bangladesh senza i genitori è rimasto orfano a causa delle brutali violenze. Lo afferma una nuova ricerca di Save the Children in occasione del primo anniversario dalla crisi il prossimo 25 agosto.

Al momento nel campo di Cox´s Bazar ci sono più di 6.000 bambini Rohingya non accompagnati, che sono senza genitori o adulti di riferimento, dove si trovano ad affrontare gravi conseguenze per la carenza di cibo e sono sempre più esposti al rischio di sfruttamento e abusi. 

Secondo i dati raccolti, il 70% dei bambini intervistati[1] è stato separato dai genitori o da maggiorenni di riferimento per conseguenza diretta di attacchi violenti, il 63% durante assalti contro i villaggi e il 9% nella fuga verso il Bangladesh. Inoltre, sottolinea Save the Children, il 50% di loro ha dichiarato che i propri genitori (o chi si prendeva cura di loro) sono stati uccisi in questi stessi attacchi, lasciandoli definitivamente orfani dopo aver assistito a scene di violenza inaudita. 

Save the Children chiede che gli autori di questi attacchi sistematici, spietati e deliberati in Myanmar siano chiamati a rispondere per i loro crimini ai sensi del diritto internazionale, e a tutti i paesi di sostenere con forza le iniziative ONU volte ad assicurare i responsabili alla giustizia.

"Dodici mesi fa, i nostri operatori sul campo hanno visto i bambini che arrivavano in Bangladesh da soli, così angosciati, affamati ed esausti da non riuscire neanche a parlare. Abbiamo subito creato degli spazi sicuri per questi bambini affinché potessero ricevere supporto 24 ore al giorno mentre cercavamo di rintracciare i loro familiari. Un anno dopo, ci è purtroppo chiaro che per molti di loro, questa riunificazione non avverrà mai” ha dichiarato Mark Pierce, Direttore in Bangladesh di Save the Children, l’Organizzazione internazionale che dal 1919 lotta per salvare la vita dei bambini e garantire loro un futuro.

“Questi bambini sono tra i più vulnerabili del pianeta e hanno dovuto ricostruirsi in qualche modo un´esistenza completamente nuova nei campi, senza la madre o il padre, in un ambiente in cui sono molto più vulnerabili ed esposti al rischio di tratta, matrimoni precoci e altre forme di sfruttamento”. 

"I nostri dati non possono pretendere di essere rappresentativi di tutti i bambini rifugiati orfani e soli a Cox´s Bazar, ma dipingono comunque il quadro spaventoso di un sanguinoso conflitto in cui i civili sono stati presi di mira e uccisi in massa” continua Pierce. “Per garantire che le organizzazioni umanitarie possano proseguire a fornire un supporto essenziale a questi bambini, la comunità internazionale dei donatori deve sovvenzionare interamente il piano di risposta congiunta di 950 milioni di dollari per il 2018, finanziato attualmente solo per un terzo. Dobbiamo anche garantire che i bambini rifugiati Rohingya, nonostante la loro condizione di sfollati, possano ricevere un’educazione di qualità ed inclusiva, e sia garantito un supporto psicologico adeguato nei casi di maggiore fragilità."

Save the Children, ha raggiunto oltre 350.000 bambini Rohingya a Cox´s Bazar negli ultimi 12 mesi, compresa una grande maggioranza di coloro che sono rimasti orfani o sono stati separati dai propri genitori, creando circa 100 spazi dedicati per i bambini e le ragazze nei campi profughi Rohingya a Cox´s Bazar, che forniscono a quasi 40.000 bambini uno spazio sicuro per giocare, riprendersi e tornare ad essere bambini, e attraverso programmi di protezione e accesso all’istruzione, di salute e nutrizione, di distribuzione di acqua e cibo, e garantendo servizi igienico-sanitari. 

Tra i minori che Save the Children supporta c’è Humaira[2], 17 anni, fuggita in Bangladesh con alcuni vicini del suo villaggio dopo che i suoi genitori sono stati uccisi davanti ai suoi occhi negli attacchi di agosto dell’anno scorso. L’operatrice, Rashna Sharmin Keya ha raccontato che solo dopo un mese e gli incontri con uno psicologo Humaira è riuscita a parlare della sua storia. Ma, dopo mesi di ricerche, è stato finalmente possibile ricongiungerla con i suoi due fratelli più piccoli. Ora vivono insieme, con la responsabilità del resto della famiglia sulle sue spalle. 

"Quando l´ho incontrata per la prima volta, non parlava molto. Nel suo cuore c´era molta paura e non si fidava di nessuno" ha dichiarato Keya. "Mentre piangeva mi ha detto: ´Sono morti tutti. Tutta la mia famiglia è stata uccisa in Myanmar. Li ho visti, so che sono morti tutti. Non c’è più nessuno lì’.

"È passato un anno da quando a questi bambini è stata strappata via l‘infanzia. Il mondo non è riuscito a condannare gli autori di questi barbari attacchi, compreso l´esercito del Myanmar. Crimini straordinari richiedono una risposta straordinaria. Un´indagine credibile, imparziale e indipendente su questi crimini e tutte le violazioni dei diritti dei bambini commessi nello Stato settentrionale del Rakhine è un primo passo fondamentale per accertare le responsabilità,” ha dichiarato Michael McGrath, Direttore di Save the Children in Myanmar. “La comunità internazionale deve fare di più per trovare una soluzione duratura alla crisi che consenta il rimpatrio sicuro, dignitoso e volontario dei rifugiati Rohingya, che rispetti i diritti fondamentali dei bambini e delle loro famiglie e sia sostenuto dal diritto internazionale".


Per sostenere gli interventi di Save the Children a supporto delle comunità Rohingya rifugiate in Bangladesh: https://www.savethechildren.it/cosa-facciamo/risposta-alle-emergenze/crisi-umanitaria-rohingya

Per ulteriori informazioni:
Ufficio Stampa Save the Children
Tel 06-48070023/63/81/82
ufficiostampa@savethechildren.org
www.savethechildren.it


[1] Lo studio, che ha coinvolto 139 bambini Rohingya non accompagnati e separati, è il più completo mai realizzato nel campo di Cox’s Bazar dopo la brutale repressione militare in Myanmar di un anno fa che ha spinto 700.000 Rohingya a fuggire per raggiungere quest’area di confine in Bangladesh.

[2] Il nome è stato cambiato per tutela della privacy

 

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