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Inserita in Nera il 16/09/2013 da Marina Angelo

Trapani nera: viaggio all’interno della criminalità della provincia insieme al Colonnello Fernando Nazzaro

Trapani
Da anni, ormai, gli orari vengono scanditi dal lavoro, eppure non ci si abitua mai del tutto al fastidioso suono della sveglia. Notti passate a cercare di risolvere un caso particolare, levatacce o chiamate nel cuore di quella che sembrava essere finalmente una notte “tranquilla”. La divisa, sempre pronta per essere indossata, dà conforto insieme alle camicie stirate e profumate. Ma ancor più quell’aroma del caffè indispensabile tanto per partire, quanto per non arrancare. Loro la città che proteggono la conoscono bene. Girare per Trapani, se dimentichi per un attimo il motivo per il quale la stai pattugliando, è un piacere. Luccicante d’estate e armoniosa d’inverno, la città falcata incanta con il suo mare e prova ad ubriacare con il suo vento. Ma la luce blu sopra le auto dei carabinieri non si lascia stregare. Non può permetterselo. Uomini e donne che hanno giurato fedeltà all’Arma giornalmente mettono a repentaglio la loro vita per la sicurezza della città e dei trapanesi. Un sacrificio fatto con onore ed orgoglio anche adesso che, questa maledetta crisi, che dicono sia finita (?), ha imposto di stringere le cinture pure al comparto sicurezza italiano. A farne le spese è certamente il cittadino ma in prima persona è ora il carabiniere, ora il poliziotto che, a corto di mezzi ogni giorno scendono in campo e “giocano” la loro vita per poco più di mille euro al mese: a volte va bene, altre, come purtroppo abbiamo avuto modo di leggere, va male.

In Sicilia la guerra di mafia sembra finita da tempo. Per fortuna le pistole non tuonano più. O almeno non come una volta. Qualche mese fa avevano ripreso a far sputare sangue e vita a Palermo. Ma si sono zittite. Roma, Napoli o la Milano armate, per fortuna sono lontane. Ma il morto non esclude che vada tutto bene. Le analisi si fanno con elementi e competenze ed a me mancano gli uni e principalmente le altre. Eppure tornando “a casa” del latitante numero uno dopo tanto tempo, la cosa che mi è saltata subito agli occhi è certamente una: sebbene Trapani cerchi di cambiare faccia, poco cambia. Per questo la lotta alla criminalità continua. Molta l’energia profusa nelle attività svolte dalle diverse forze di polizia che operano nella nostra provincia. Solamente quelle relative all’arma dei carabinieri, nell’anno appena trascorso, le ritroviamo negli arresti per stalking, contraffazione, frode, evasione, pedofilia, abusi, furto di rame, spaccio di sostanze stupefacenti, lotta all’evasione scolastica (110 i casi denunciati), rapine, scippi, ricettazione. E poi quelli legati a cosa nostra e agli omicidi, tra tutti quello di Don Michele per il quale, i carabinieri, hanno assicurato l’assassino alla giustizia.

Dopo questo numero consistente di fatti, mi è sembrato opportuno passare alle parole, quelle del Colonnello Fernando Nazzaro, Comandante Provinciale dei Carabinieri di Trapani relativamente ad alcuni aspetti interessanti che sono emersi sul nostro territorio dove tutto sembra sempre assolutamente immobile ma che invece, sotto questo lento scorrere di uomini, di facce, di auto, di vita; si muove come la malavita più o meno organizzata e la sua attività.


Colonnello, è soddisfatto dell’opera di prevenzione fatta sul territorio?

Si può sempre fare di più. Con riferimento alla città di Trapani, per migliorare i servizi di vigilanza del territorio ed evitare sovrapposizioni tra Carabinieri e Polizia, è stato istituito un piano di controllo coordinato del territorio nei comuni di Trapani ed Erice Casa Santa. Questo se da un lato ci consente di essere presenti in maniera capillare e costante, dall’altro ci evita di disperdere le nostre forze. In riferimento ai delitti registrati in provincia, ed in particolare ai reati contro il patrimonio, lo scorso anno siamo riusciti a mantenere pressochè stabili i dati rispetto all’anno precedente, sebbene il trend nazionale sia in aumento.


La crisi ha fatto alzare l’asticella della criminalità. Quali sono stati, se ci sono stati, i reati in aumento?

Il fattore crisi ha sicuramente tracciato un nuovo profilo relativamente ai soggetti autori di reato: l’incensurato. In quest’ultimo anno, si sono registrati furti nei supermercati perpetrati spesso da pensionati. Stiamo parlando di gente che ruba per fame. Un fenomeno in aumento è stato poi il furto di rame e una lieve crescita si è registrata anche per le rapine in abitazioni. Alcuni di questi autori, grazie ad alcune operazioni di polizia portate a termine nel corso dell’anno, sono già stati assicurati alla giustizia. Stiamo continuando a prestare attenzione su tutto il territorio, in particolar modo nelle zone periferiche.


L’humus criminale della provincia cambia rispetto alla zona ( Trapani, Marsala, Castelvetrano, Mazara…) differenziandosi per alcuni reati particolari o resta pressochè uniforme?

In linea generale c’è una diffusione di spaccio di sostanze stupefacenti, ma assistiamo ad un maggior numero di rapine nella zona sud (Mazara-Marsala) rispetto alla zona nord. Trapani, invece, si caratterizza per un maggior numero di scippi. Stiamo parlando di dati Arma, e quindi piuttosto contenuti. Non creiamo inutili allarmismi sociali.

Relativamente allo spaccio di sostanze stupefacenti ed in riferimento all’ultima operazione che avete portato a termine (Nassiriya), due sono le cose che maggiormente mi hanno colpita: la prima riguarda l’utilizzo dei giovani come corrieri della droga mediante gli autobus o i taxi da Trapani a Palermo e viceversa, pagandoli pochi euro. La seconda è trovare, come nelle organizzazioni criminali più strutturate una donna a capo della banda.

Accompagnare un giovane soprattutto con un mezzo pubblico non desta sospetto. Ad oggi non abbiamo ancora la certezza se e quanto fosse il compenso ma sappiamo che il loro compito principale era quello di fare da sentinella nel quartiere dove poi è stato eseguito il blitz (Fontanelle Sud ndr). Per quanto riguarda la donna arrestata, si tratta di una persona con precedenti di polizia. Quella organizzazione, seppur molto strutturata, non aveva certo i connotati per essere considerato un gruppo criminale mafioso. In alcuni casi abbiamo provato la presenza di donne che svolgono un ruolo importante all’interno di queste organizzazioni e sul territorio nazionale ne è stata accertata la loro reale partecipazione a livello apicale, come appunto accertato per il clan dei Casalesi


Un ruolo che nella malavita organizzata di Trapani la donna non ha?

La presenza della donna sul territorio trapanese è più sfumata, tuttavia ci sono state alcune indagini che ne hanno accertato la penale responsabilità.


A Trapani il crimine è abbastanza controllato. Il merito è delle forze dell’ordine, della volontà mafiosa che resta comunque legata a questo territorio e alle sue sorti, o di entrambi?

Ci sono stati negli ultimi anni moltissimi interventi atti a sgretolare la struttura mafiosa. E non sto parlando solo di arresti importanti. Si è cercato di indebolire le famiglie mafiose aggredendo il patrimonio dell’holding criminale, principalmente attraverso il sequestro dei beni. Un’azione incisiva che ha sicuramente colpito gli interessi economici di grandi e piccole famiglie mafiose che in passato riuscivano comunque a rimanere forti sul territorio. Se è vero però che l’operazione di contrasto ha indebolito la struttura su più fronti, è altrettanto vero che non l’ha completamente debellata. Questo spiega la nostra presenza e la nostra lotta continua. 


Trapani è da sempre una provincia ad alta densità mafiosa. Oggi cosa nostra rimane legata al territorio come una volta tanto da rintracciarla nella nuova cultura criminale trapanese?

Per quella che è la mia conoscenza del fenomeno c’è stata una trasformazione negli ultimi 20 anni. Siamo passati da una mafia che prediligeva il controllo del territorio che acquisiva e manteneva attraverso gravi delitti. Deposte le armi, finita la guerra, la mafia ha scelto di crescere oltre il territorio: ha scelto di crescere in affari. 


A Trapani si macchiano anche i colletti bianchi?

Posso fare riferimento alle nostre due ultime operazioni mafiose al riguardo: nella prima abbiamo arrestato, con l’accusa di associazione mafiosa, il sindaco di Campobello di Mazara, ed è stato sciolto il consiglio comunale; nella seconda, l’operazione “Mandamento”, insieme ad altre persone è finito agli arresti anche un consigliere provinciale. Nel maggio 2012 le manette sono scattate, invece, per il sindaco di Pantelleria. Per lui l’accusa era di corruzione aggravata. Il successivo procedimento penale si è concluso con la sua condanna 

E Trapani non si fa mancare proprio nulla, nemmeno gli omicidi. Dopo il delitto Anastasi, a lasciare sconvolta l’intera città è stato l’assassinio di Don Michele. Le indagini sono state molto difficili, eppure siete riusciti ad incastrare Incandela che, nell’ultimo interrogatorio, ha cambiato la versione del movente. Ci può dire qualcosa in più?

L’omicidio di Don Michele è stata una tragedia per tutti, anche per noi Carabinieri che avevamo avuto occasione di incontrarlo più volte per la celebrazione della messa in suffragio dei nostri caduti di Nassirya. Ricordo che furono tantissimi i carabinieri a portarsi spontaneamente sul posto per collaborare alle indagini. Quando arrivammo sulla scena del delitto l’ordine che trovammo fu quasi surreale. Impossibile pensare ad una rapina finita male. Nessuna impronta digitale, nessun dettaglio lasciato al caso. Neppure i RIS arrivati da Messina riuscirono a trovare un solo indizio che potesse aiutarci nelle fasi investigative iniziali. E la pressione cresceva con il passare del tempo. E’ fondamentale riuscire a risolvere, o comunque a raccogliere importanti indizi, nelle prime ore successive ad un delitto. Ed invece, per noi il tempo passava senza alcun risultato. 

E’ stata fatta una possibile ricostruzione della dinamica dell’omicidio: l’accesso alla canonica, l’oggetto usato per colpire il parroco, il possibile movente. A sviarci furono proprio i locali. Nulla era stato toccato. Tranne, scoprire poi, che mancava il portafoglio. Tuttavia l’omicida aveva pensato ad ogni piccolo particolare: aveva indossato i guanti per evitare di lasciare le impronte digitali e dei calzari per le scarpe. Non aveva toccato nulla. Siamo poi passati alle indagini tradizionali.

Abbiamo ascoltato centinaia di persone le quali non hanno fatto altro che confermare quello che già sapevamo su Don Michele: un parroco molto umano e sempre disponibile. La svolta è arrivata quando l’omicida ha effettuato il primo prelievo con il bancomat rubato anche se le telecamere di video sorveglianza dei circuiti di sicurezza della banca ci hanno fornito delle immagini molto sfocate.

Abbiamo quindi insistito sui dati antropometrici e su piccoli dettagli che abbiamo fatto visionare a tutti i comandanti territoriali richiedendo a loro volta il successivo contributo di tutti i carabinieri della provincia. Ed è stato proprio un brigadiere a riconoscere Incandela dal pizzetto. Abbiamo quindi iniziato a pedinarlo, senza riuscire tuttavia a trovare interessanti spunti investigativi in considerazione del fatto che durante quel periodo non ha incontrato nessuno. Alla fine lo abbiamo convocato in caserma unitamente ai suoi familiari e nel corso del lungo interrogatorio si è contraddetto fino a confessare.



Anche per il delitto Anastasi è stato così difficile?

Si, anche questo caso non è stato semplice. Savalli è una persona introversa ma molto scaltra. Aveva fornito una iniziale ricostruzione che ha cercato di confermare per molto tempo davanti ai magistrati titolari dell’indagine. Anche in quell’occasione un importante contributo investigativo è stato fornito da un brigadiere della locale stazione che ha convinto l’amante a collaborare con gli inquirenti. 


A fare le spese di tutto questo adesso sono i figli. Come stanno, che ne sarà di loro?

Si purtroppo. Adesso i figli della Anastasi mi risulta che siano stati affidati ai nonni, mentre quelli di Giovanna Purpura, ad una casa famiglia.


C’è una relazione tra la spettacolarizzazione del crimine ed il suo eventuale incremento?

Non credo. I crimini ci sono sempre stati solo che adesso rappresentano un tema di approfondimento da parte di numerose trasmissioni televisive. Personalmente sono contrario alla ricostruzione dettagliata delle modalità investigative anche per evitare che le innovative tecniche di indagine siano portate a conoscenza dei criminali.


Si vocifera, ed è più di una voce, che l’Arma verrà smantellata per fare posto ad un corpo di polizia europeo. Che cosa può dirmi a riguardo?

A me non risulta. Tra l’altro è una cosa che mi fa sorridere visto che proprio il prossimo anno l’Arma dei Carabinieri, istituita nel 1814, festeggerà il suo bicentenario. Due secoli di completa partecipazione agli eventi che condussero all’unità d’Italia, alle due guerre mondiali ed alla progressiva trasformazione del nostro Paese da terra di emigrazione a meta di immigrazione. 

Due secoli in cui l’Arma dei Carabinieri è stata tra i protagonisti di questi avvenimenti rimanendo fedele ai suoi principi ed ai suoi valori, ma proiettandosi sempre nel futuro cercando di rispondere alle istanze di sicurezza che ci sono rivolte dai cittadini.

L’organizzazione capillare dell’Arma nel territorio nazionale, grazie ai circa 5000 presidi presenti negli 8000 comuni italiani, conferma ancora oggi piena vitalità e aderenza alla mutevole realtà socio-economica della Nazione, costituendo le basi di importanti iniziative volte ad esaltare il ruolo delle stazioni dei Carabinieri quali terminali di “protezione ravvicinata” in grado di accrescere la percezione di sicurezza nonchè di svolgere quella funzione di rassicurazione sociale che, travalicando gli ordinari compiti di polizia, viene quotidianamente assicurata.



Ogni Paese, dicevano una volta i nostri nonni, per essere tale deve avere un campanile, il maresciallo, il farmacista e il prete. Sono passati anni ma …..


Marina Angelo








 

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