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Inserita in Cronaca il 24/01/2013 da redazione

“FERUS” DI ESSERE SICILIANO

“FERUS”

«La bellezza ed il significato profondo di un’opera sono cose che un mafioso, per quanto potente, non è in grado di comprendere ».

 

Benvenuti al sud. E’ qui che impari molte cose. Impari cosa vuol dire vivere, e vivere bene, ma anche cosa vuol dire rimanere vivo. Impari che la vita ha un immenso valore quando la si dona agli altri o quando te la toglie l’anti-Stato. Impari quanto “pesa” un’idea: fra tutte, quella della legalità. Ed impari quanto è importante portarla avanti soprattutto in questo “maledetto” sud dimenticato, ladro, cafone, lento e dominato dalla mafia (in tutti i suoi diversi “piani d’appoggio”).

 

Eppure il nostro amato e odiato sud, da qualche tempo, ha cambiato volto. Lo ha fatto pian piano grazie ad una rivoluzione culturale, di menti, di idee e, adesso, si “permette” anche di raccontarsi con l’arte. L’arte, perché come ha sottolineato Francesco Murana, “l’arte uccide la mafia” e ridona fierezza ai siciliani. Anche per questi motivi, il claim scelto per “Ferus”, l’evento culturale ideato dall’Associazione culturale “50 Mt” in collaborazione con “ANM Associazione Nazionale Magistrati”, l’Associazione Magistrati di Trapani e Marsala, e l’Associazione Libera, è: “Ferus di essere siciliano. Ferus nella lotta alla mafia”. “Ferus” gode del patrocinio del Presidente della Repubblica ed apre le porte del Palazzo di Giustizia trapanese trasformato in galleria d’arte.

 

E’ qui, in un itinerario prestabilito, che opere di artisti di fama internazionale (come Letizia Battaglia) incontreranno i cittadini per raccontare la vita del Sostituto Procuratore GianGiacomo Ciaccio Montalto barbaramente ucciso dalla mafia.

 

Ad essere interessate saranno anche la via XXX Gennaio e l’appartamento, di fronte al Tribunale, dove Montalto andava a riposare e dove verrà allestita una personale a sottolineare che oltre ad essere il primo uomo di Stato ucciso dalla mafia trapanese, GianGiacomo Ciaccio Montalto era prima di tutto un uomo semplice con numerose passioni. Se è vero, infatti, che qui al sud, la storia viene scritta nelle aule dei Tribunali è altrettanto vero che per le strade in molti (troppi) hanno provato a scrivere la parola fine a chi combatte la mafia ed alle loro famiglie alcune, purtroppo, private del “cuore” e rese per questo “diversamente abili”.

 

E’ nei vicoli, nelle autostrade, nelle tangenziali che la mafia attacca. Ed è anche lì, tra l’asfalto e la gente comune, che si combatte: si vince o si muore. Lo sapeva bene Gian Giacomo Ciaccio Montalto un milanese che l’ironia della sorte ha voluto fosse la memoria storica della Procura di Trapani. Un motivo in più per alimentare il sorriso sornione della mafia e farlo fuori. 

Montalto ha studiato il “cancro-mafia” così bene da saperlo riconoscere anche quando c’era chi cercava di nascondere le tracce di conti correnti bancari che pilotavano appalti e “relazioni pericolose”. Intercettava piste per droghe e arrivava a raffinerie.

 

Per il Sostituto Procuratore di Trapani, il lavoro andava fatto senza se e senza ma. Bisognava andare contro l’obiettivo e se per strada si incontravano amici, o presunti tali, non bisognava fermarsi. Chi si sporcava le mani con “cosa nostra”, non poteva essere…non poteva essere un uomo.

 

Questo, a chi aveva costruito l’idea distorta “dell’uomo d’onore”, non piaceva, tanto che, il 25 gennaio del 1983, un commando armato inviato da Mariano Agate, capo mandamento di Mazara del Vallo, su ordine di Totò Riina lo uccise a Valderice davanti la porta d’ingresso della sua casa. “Ciaccino arrivao a stazione” a 42 anni, lasciando una moglie e 3 figli. Ucciso perché stava facendo il proprio dovere ma in realtà mai morto veramente.

 

Dopo di lui un altro uomo venne al sud, Carlo Palermo. E fu subito strage, quella di Pizzolungo. Un altro ed un altro ancora che, insieme agli uomini del territorio, uomini presi in “prestito” dallo Stato, vennero ammazzati dentro e fuori la triste e fredda “stagione delle stragi”. La morte di ognuno di loro non è mai stata invano. Chi oggi perde la bussola, può facilmente ritrovare la strada della legalità alzando gli occhi a questo o quell’altro incrocio, via, piazza e rileggere i loro nomi. No, nessun cimitero cittadino, solo testimonianze di vita, di onestà, di giustizia, di libertà.

 

Uomini che hanno perso la vita sul campo di battaglia,per debellare il cancro diffuso ovunque, per una lotta, prima di tutto, culturale. Ed è la cultura che oggi fa il sud diverso: entra nelle scuole e fa “cento passi” (ma anche di più) per quella lotta iniziata da persone semplici ed anche per questo grandi. Lo fa mentre applaude uomini di Stato che arrestano il mafioso. Rumore, non più difesa con il silenzio. Una rivoluzione culturale che dà e prende linfa anche da un albero capace di mettere “gambe alle idee”, forza e fierezza a chi non è morto invano. Succede anche a Trapani. Ed è musica. La stessa che verrà proposta da Ferus alle migliaia di persone che visiteranno il Tribunale con due concerti di musica classica e jazz. Benvenuti al sud.

 

Marina Angelo

 

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