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Inserita in Un caffè con... il 21/05/2015 da REDAZIONE REGIONALE

ROBERTO TUMBARELLO - ´LETTERA DI UN AMMIRATORE´ ED ALTRE RIFLESSIONI

ROBERTO
Lettera di un ammiratore
Signor Presidente, il suo gesto non è ammirevole come i cori compiacenti le fanno credere. Avere rinunciato a quei quattro soldi di pensione – mi perdoni la franchezza, seppure le possa suonare brutale – non è generosità. Non imiti il populismo dei mediocri che non illuminerebbe il suo nuovo percorso, come, invece, appare luminoso il suo passato. Allora non ricordo proclami di donazioni, ma parole sagge al momento giusto, ogni volta che la libertà e la giustizia erano in pericolo. Con l’umiltà che distingue i grandi, senza mai voler apparire un eroe, come se difendere la verità fosse per lei una reazione naturale. Devolva pure quell’obolo a chi ne ha bisogno, ma nell’anonimato, come suggerisce Gesù, che le è sempre stato vicino, anche nella salita sul colle in cui si trova. Milioni di italiani si augurano che ora Dio, in cui lei ha la fortuna di credere, le dia la forza per proteggere il paese e le sue istituzioni. Ma lei deve decidersi a intervenire. In situazioni terribili come quella che stiamo attraversando, non servono soldi, essendo la crisi morale un’idrovora. Basta, però, una parola di buon senso per invertire la rotta. Parli, Presidente, con la schiettezza e il coraggio per cui tutti l’ammiravano quando era un semplice deputato. Il paese sta precipitando sommerso dalla corruzione, la democrazia è in pericolo per le riforme inique, la povertà avanza inesorabile. Si renda conto che, al punto in cui siamo, solo lei può salvarci, con un messaggio di fiducia che il popolo attende dal giorno della sua elezione e con la fermezza di chi ha il compito di proteggere la povera gente. Non rimane molto tempo. Gli italiani gliene saranno grati e la Storia se ne ricorderà.

Ridateci il puzzone!
Il malcontento ormai è generale. Nonostante l’ostentato ottimismo, l’Italia va di male in peggio. Ricominciamo con le bugie. Un tempo nascondevamo la crisi, oggi diciamo che è superata. Non è cambiato nulla. Si aspettano i risultati della prossima mini sessione elettorale per saperne di più sull’umore della gente, che, però, è rassegnata. Non essendoci opposizione, qualsiasi esito indicherà che la democrazia in Italia è zoppa. Fino a poco fa – seppure illiberale, inefficiente, raffazzonata, sleale e imbrogliona quanto si vuole – c’era una destra. Adesso anche quello spazio è stato occupato dal PD, che non è più solo di sinistra. Soddisfa le esigenze di chi votava per il Popolo delle Libertà. Finalmente una coalizione di sinistra che accontenta i conservatori. E i progressisti sono costretti a votarla. Ecco la come essere vincenti. Però, dobbiamo privilegiare banche e Confindustria, auspicare la dissoluzione del sindacato, affondare i barconi degli emigranti, accettare il preside-padrone, rassegnarci a non scegliere i parlamentari, ignorare le sentenze della Consulta, sperare che i pensionati non creino problemi di bilancio e che i poveri si abituino alla miseria. Allora, ridateci la sinistra perdente e la destra puzzona. Almeno, una difendeva prevaricati e dimenticati, l’altra gli interessi del padrone, senza pudore, ma alla luce del sole. Adesso una nuova destra c’è. Qualcuno – Civati, Landini o qualcun altro, purché sia presentabile – cerchi, per carità, di creare al più presto una sinistra moderata. Non importa se vincente o perdente, ma che, almeno, ci restituisca dignità e democrazia.

I paria della società
Se fosse in pericolo il capitale o lo stipendio dei grandi manager o la retribuzione dei divi televisivi, sarebbe saltato il governo. Se fossero penalizzate le banche o il capitale, si sarebbe sollevato il parlamento, indignato. Forse sarebbe persino intervenuto il capo dello stato ad additare l’ingiustizia. Trattandosi di pensionati, invece, è già tanto che li lascino sopravvivere. Essendo improduttivi possono pure accontentarsi di quei quattro soldi che gli elargiranno. Che è più di quanto meritano. Ma solo perché siamo in una vigilia elettorale. Se no, neppure quell’elemosina. Seppure la pensione l’abbiano pagata in anticipo con le trattenute sulla retribuzione quando erano attivi, è sempre troppo per una categoria adesso addirittura longeva. Non hanno esigenze, se ne stiano davanti al televisore, che non costa nulla. Questo governo, che errori non ne fa, paga, però, quelli dei predecessori, che, stolti, non previdero l’allungamento della vita media e calcolarono pensioni minime troppo elevate per il tempo in cui dovranno essere erogate. Oggi siamo in crisi. È giusto che a sopportarne il peso siano soprattutto i parassiti. Adesso, per ridurre ulteriormente le spese della politica, oltre al Senato, dovremo eliminare anche della Corte Costituzionale. Tanto, sono soldi sprecati. Seppure utile – ma solo in democrazia – si tratta di un apparato che non possiamo permetterci. Per di più, non essendo le sentenze tenute in considerazione, è proprio denaro buttato. Approfittiamo del momento favorevole – maggioranza genuflessa al potere, rassegnazione dei cittadini, letargo delle istituzioni di controllo – per rendere la riforma più completa ed efficiente. Sarà anche un’occasione per indicare l’inutilità dei sindacati, che difenderebbero certamente la Consulta, come adesso la scuola e le pensioni. Se non li fermiamo in tempo, finiranno col voler tutelare pure i diritti della povera gente.

Informazione a pagamento
L’ha detto la radio. Un tempo, era come se fosse scritto sulle tavole di Mosé. Anche il più recente l’ho sentito in televisione era una verità certificata. Adesso non più, perché si sa che al microfono o sul video c’è un bugiardo al servizio di qualcuno. Ma gli ingenui continuano a crederci. Tanto è vero che ci sono reti televisive che da un mese mandano tutti i giorni in onda ingiustificati commenti dall’Expo per enfatizzarne il successo che è notoriamente inesistente. Anzi, è proprio un flop, una vergogna per la produttività del paese. Tre settimane dopo l’inaugurazione è ancora un cantiere. Passando da un padiglione all’altro si sentono ovunque rumori di operai al lavoro. Si sa che a monte ci sono storie volgari di speculazioni – come terreni acquistati a uno e rivenduti al triplo e anche più – e di inefficienza. È evidente che quello della TV prezzolata è un applauso falso e triste, come spesso avviene da un po’ di tempo in Italia. Significa che c’è una distribuzione indebita di denaro pubblico, per manipolare l’informazione e farla sorvolare su ritardi e altre inspiegabili stranezze. Questo malaffare avviene sotto gli occhi di tutti, ma nessuno interviene. È un percorso che, tollerato com’è, si concluderà tra non molto con la legalizzazione della corruzione. È questo il motivo che mi fa dissentire dalle pur giuste teorie liberali di privatizzare la Rai. In questo momento, qualsiasi pretendente l’acquisterebbe con denaro riciclato e la metterebbe a disposizione di un interesse personale. Finché a gestirla è la politica, un po’ di servizio pubblico, almeno, lo svolge ancora. E sappiamo con chi prendercela, governo ladro! Se la Rai passasse, invece, in mani sporche di denaro, per di più di provenienza sconosciuta, per l’informazione sarebbe la fine. Come pure per la democrazia per la cui sopravvivenza la libertà di stampa è indispensabile. Adesso, quindi, sia che lo dica la radio sia la televisione, è certamente un messaggio immorale.


 

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